Disoccupazione e precarietà sono due mali che angosciano la nostra società e noi giovani con difficoltà stiamo imparando a conviverci, ma credo che la situazione peggiori drasticamente se ad essere disoccupate o precarie siano delle donne madri di famiglia.
Sono solidale con le 11 operatrici di call center che dopo aver perso il lavoro, venerdì 5 settembre si sono esibite in una strip conference di contestazione.
Sei anni di impieghi a termini, contratti da rinnovare, rabbia da masticare, progetti da rimandare. Poi lo stop, che è arrivato per questioni legislative: dopo l’entrata in vigore della cosiddetta Legge Brunetta (D.L. 112/2008 – che all’art. 49, comma 3, ha recepito la legislazione del settore privato del Protocollo sul Welfare, Legge 247/2007 del Ministero Damiano) non è più possibile iterare contratti a termine oltre i tre anni, di conseguenza è stato dato loro il benservito.
La protesta delle donne disoccupate, dopo il video-asta su Youtube, acquista toni ancora più provocatori. «Cosa abbiamo ancora da perdere? – spiegavano al presidio organizzato al Civile – Non siamo forse già denudate nella nostra dignità, nei nostri diritti? Senza reddito, nessuna dignità!».
“Noi cerchiamo solo un impiego definitivo. Abbiamo rate del mutuo da pagare, figli che vanno a scuola. Così è un’angoscia infinita“.
Per tutto il giorno l’attenzione dei media è stata alle stelle. Carta stampata ed emittenti televisive hanno puntato i riflettori su queste donne così combattive, tutte a testa altissima.
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